Yng Ngolau Ddydd (Nella Luce del Giorno)

Cadevo…

Un bagliore, sotto di me.

Venni sbalzata da un lato, mentre la lastra che attendeva il mio arrivo si infrangeva in mille scintille, riverberanti il fragore dei dardi che mi sfioravano.

 

Cadevo…

In quei pochi attimi sentivo di aver fallito.

Attimi.

La mia stessa sopravvivenza sembrava appesa ad un filo.

Voci.

Grida.

Qualcuno esultava alla mia caduta, dall’altra parte del dirupo.

E parole, parole di cui non coglievo il significato, le sentivo solo rallentarmi, giungendo al Vuoto che si andava creando intorno a me.

 

Cadevo…

Attimi e respiri si fondevano.

Palpiti di cuore, sempre più lenti.

I bagliori lontani, la mia corsa verso l’ignoto ormai un ricordo.

E sentivo il calore abbandonarmi, uscendo dalla punta delle dita.

Evaporava dalla mia pelle, ed una fine rete di piccoli cristalli si diramava in forme geometriche.

Una fitta e preziosa ragnatela di piccoli gioielli di ghiaccio.

 

Cadevo…

E non sentivo più l’aria fredda del precipizio scorrermi intorno.

E il Vuoto dilagava in me.

Al centro, il nulla.

E mentre le mie membra si irrigidivano, la mia caduta rallentava fino a lasciarmi sospesa.

Un incanto di annullamento mi relegava nel cuore di quel precipizio. 

Come avevo potuto permettere ciò?

Portavo ancora con me quel segreto, oh sì….

Loro non lo avrebbero avuto, morirà qui, anzi…

Congelerà qui….con me…

E mentre il mio ultimo pensiero si dilatava all’infinito, anche la mia mente entrò nel Vuoto e raggelò.

 

Una statua fredda ruotava nell’aria ferma, nel buio.

Le vesti cristallizzate scintillavano, e sembravano ancora svolazzare.

Le sue mani strette attorno ad un oggetto, portate sopra il cuore.

“Con me…”

Rieccheggiavano le sue ultime parole nell’aria gelida.

“Con me…”

Un eco rimbalzava sulle rocce, e riverberava.

“Con me….”

Quasi assopito, anche l’eco di queste parole svanì.

 

Le pareti del dirupo vibrarono.

 

Un rombo basso e sordo scosse l’atmosfera quieta. 

Il corpo della donna giaceva, congelato ed immobile, sospeso in aria.

Al passaggio del rombo si mosse impercettibilmente.

 

Seguì un secondo rombo. 

La pelle del corpo brillava dei mille e mille cristalli di ghiaccio che la avvolgevano. 

Tintinnarono all’unisono, percorsi da quel suono profondo. 

E si staccarono, aleggiando nell’aria e distribuendosi attorno al corpo inerme.

 

Al successivo rombo i cristalli si cercarono l’un l’altro, attaccandosi e creando intricate forme geometriche che crescevano e si diramavano ordinatamente nell’aria.

 

I rombi aumentarono di frequenza e profondità. 

Diventarono un battito sordo e costante, un enorme cuore che emanava un nuovo e crescente ritmo.

All’interno del corpo della donna, le cellule si svegliavano, tornando a muoversi ed a funzionare.

L’acqua congelata nelle membra si sciolse, e pelle, muscoli e tendini ripresero morbidezza e furono finalmente liberati dalla morsa del gelo. 

Ed a quel ritmo incalzante anche il cuore della donna riprese a battere, ed il sangue ad irrorare e nutrire tutto il corpo.

 

Un ritmo di passi, di danza…

E le pareti del dirupo iniziarono a sgretolarsi e sotto di loro spuntavano piccoli virgulti di un verde fresco e brillante. 

Ancora incosciente nel corpo, la ragazza si vide dal di fuori. Vedeva il suo corpo tornare libero di muoversi. Libero da quella morsa di ghiaccio che l’aveva avvolto, inesorabile.

E dentro di lei si riaccese un calore che emanava speranza, e gioia e piacere.

Osservò il suo corpo diventare sempre più piccolo mentre la sua coscienza risaliva, uscendo da quel dirupo. 

 

E ad ogni battito, un’ondata di energia sembrava riverberarle addosso e la spingeva sempre più in sù.

Finché fu fuori dal dirupo. 

Col suo sguardo etero abbracciò la visuale in modo più globale.

La forma dei contorni del dirupo.

La vegetazione che lo costeggiava, folta e lussureggiante.

L’incavo oscuro.

Tutto questo, nel suo insieme, le apparve come l’immagine di una vulva aperta.

Tutto la ricordava: le pareti come grandi labbra, le vegetazione attorno come il pube.

E a quella vista la sua coscienza ebbe un sussulto.

E si mise a ridere.

Ed ecco che corpo e coscienza si riunivano in un’estasi di sensi.

Accolse il piacere di muovere mani e piedi.

Sentì il ghiaccio che si scoglieva ed evaporava.

La temperatura al centro del dirupo stava aumentando.

E con i suoi occhi si stupì nel vedere piante rigogliose e rampicanti ricoprire e colorare le pareti di roccia, che inverdivano a vista d’occhio.

E per la prima volta dopo essere rientrata nel corpo inalò quell’aria calda e profumata di rosa.

E da quel primo respiro emersero un fiume di ricordi e sensazioni.

E fece uscire la sua voce, potente e dirompente,  in una risata che pulsava al ritmo di quei battiti ancestrali. 

E la vegetazione si fece più rigogliosa, quasi a nutrirsi di quella risata.

Ancora sospesa in aria, volteggiò e si mosse quasi stesse nuotando.

E risalì da quel dirupo, ormai fiorito e profumato.

E quando ne uscì vide che quella Natura rigogliosa aveva avvolto tutto.

Alla luce del nuovo giorno, i suoi inseguitori si stavano disperdendo in mezzo alla vegetazione, e gli incendi si spegnevano.

Di nuovo in sè, la ragazza balzò dall’altro lato del dirupo.

E si voltò, rendendo omaggio a quella Forza che aveva operato dentro di lei e fuori da lei.

Si girò e guardò quella nuova alba.

Ed il suo cuore era colmo di speranza per quel nuovo giorno…

 

 

Alessandro Fauno Spadotto

 

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